Giulio mi ha inviato i link per vedere i suoi lavori in un momento che non saprei se definire pieno di impegni oppure direttamente il novembre che, negli ultimi anni, si è rivelato il più ricco di appaganti novità, così come di eventi infernali. Mi sono sentita tremendamente in colpa a rimandare la visione a questo periodo di dicembre un pochino meno claustrofobico, ma penso che prendermi del tempo sia stata la decisione migliore. In questi giorni ho avuto modo di confrontarmi con lui prima di procedere alla visione delle opere, totalmente ignara di quello a cui mi sarei trovata di fronte oggi. Ma andiamo con ordine. Giulio Golfieri è un giovane regista e sceneggiatore veneziano, diplomato in sceneggiatura a Padova. Dal 2015 non solo dirige e scrive film, ma li produce grazie alla sua casa indipendente Rats, che l’ha portato a collaborare con diversi esperti del settore e a presentare le sue opere in alcuni importanti festival cinematografici. 

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Giulio mi ha dato un solo consiglio: guardare i film al buio, possibilmente con un ottimo impianto audio. Da vera studentessa squattrinata quale sono stamattina mi sono sigillata in camera, ho chiuso le ante della finestra e, armata di cuffiette, ho cliccato sul primo link.  La nostalgia del randagio è un corto di sette minuti realizzato a zero budget, in cui il regista racconta la giornata di un uomo alle prese con il proprio negozio. La serranda che si alza nella prima scena rivela lentamente il volto di questo personaggio, e sarà solo poi che la camera lo seguirà all’interno, accompagnandolo con movimenti rilassati e fluidi. Tutto sembra procedere con lo stesso ritmo lento e cadenzato, ma all’improvviso la voce dell’uomo ci invade, quando senza alcun preavviso inizia a descrivere allo spettatore, e forse anche a se stesso, la sua vecchia vita. Viene narrata, tramite immagini e riprese fisse, la nostalgia di un cane divenuto uomo, di un animale a cui ogni giorno manca la propria esistenza precedente, non tanto quella da randagio a scorrazzare per strada, quanto quella in compagnia dell’anziana signora che era riuscita a portare in salvo lui e i suoi compagni: “era una vita da branco, al sapore di famiglia” racconta con voce bassa, gradevole. Non essere più parte del gruppo lo fa sentire svuotato, un individuo senza senso. I primi piani sui suoi occhi sottolineano la tristezza del ricordo, ma al tempo stesso ne enfatizzano la dolcezza. La saracinesca si abbasserà di nuovo una volta terminato il monologo, ma in questo caso la ripresa è esterna e la macchina guarda dritto in faccia l’uomo, accompagnandolo mentre pronuncia le sue ultime parole: “vi saluto e vi sento, state bene amici miei”.

Un dolcissimo frame del corto La nostalgia del randagio (2015)

Il secondo link mi ha trasportata in un mondo che già mi aveva folgorata nel leggerne il titolo. #DECALOGO, del 2018, mi ha tenuta per mano nei trentacinque minuti migliori di questa giornata. Il progetto è costituito da dieci piccoli film a sé stanti, ognuno dei quali trasforma in immagini i dieci precetti dati da Dio a Mosè sul Monte Sinai e passati nella religione cristiana nella formulazione di Sant’Agostino. Siamo dunque avvolti da un tripudio di tableau vivant, caratterizzati da uno sfondo scuro che non permette di vedere oltre il muro creato dall’oscurità. La colonna sonora di Nicola Zolin, con le sue musiche conturbanti e profonde, avvolge ciascuno dei comandamenti, creando la giusta tensione e sposandosi perfettamente con il clima sempre più cupo a cui Giulio riesce a dare vita. Il primo atto, Non avrai altro dio all’infuori di me, utilizza la metafora della frutta matura che comincia ad appassire, raccolta in una griglia di immagini che ricorda i colori primari utilizzati da Xavier Dolan in Les Amours imaginaires (2010), accostata all’immagine di una donna anziana, ripresa nuda da diverse angolazioni. I restanti comandamenti vengono accompagnati da rappresentazioni sempre più destabilizzanti, toccando il tema del doppio che rincorre se stesso in un gioco di riflessi e specchi, della morte, dei disturbi alimentari, dell’imperfetto che diventa perfetto cambiando un macabro punto di vista, arrivando persino alla pedofilia. È un percorso di voci e suoni, che discende nelle parti più oscure e nascoste dell’animo umano. 

Un frame tratto da #DECALOGO (2018)

In Only Deads Giulio gioca con il contrasto tra il cinema pornografico e il perturbante, rappresentato dall’estraneo che in maniera subdola si inserisce nella vita quotidiana di una giovane CAM girl. Il titolo è un gioco di parole che rimanda, in maniera ironica, grazie allo stesso font e all’uso del bianco e dell’azzurro, al sito Only Fans. Al di là dell’ormai sempre presente attenzione alla fotografia e all’uso delle luci, soprattutto nel contrasto luce-ombra, il giovane cineasta inserisce poco alla volta elementi sempre più strani e inquietanti, come l’arrivo di un drone nella casa della ragazza, con il quale parla attraverso una lavagnetta, prima di iniziare a spogliarsi. Riprendo una parte della recensione presente sul sito nocturno.it, con cui mi trovo d’accordo: “L’Unheimlich, la perturbazione, sta in rapporto con il fatto che non tutto è spiegato, come va bene che sia, con i nessi mancanti, con la quota di non detto. Lo scavallamento di campo e di schermo, per cui quello che stava di là passa di qua, è il tema. L’oggetto che si fa soggetto e viceversa. Comunque, le mentalizzazioni non servono, e basta la forza di quello che Golfieri ha fissato nelle immagini. Punto. E complimenti.”. Il film è stato presentato al FIPILI Horror Festival e all’Hacker Film Festival e ha ricevuto una Menzione d’onore all’Horror Island Film Festival.

Titolo del film Only Deads con rimando cromatico e stilistico ad Only Fans

Ombre riesce invece a condensare nei suoi tre brevissimi minuti la rabbia e la tristezza dei senzatetto, raccontandola non dal punto di vista di chi li considera solo feccia puzzolente, ma da quello dei vagabondi stessi. Alle immagini delle loro tende, delle loro coperte e delle loro piccole case sulle strade vengono sovrapposte le voci degli uomini, che in un tripudio di frustrazione e dolore, raccontano come si sentono, quello che i commenti dei passanti fanno loro percepire e le reazioni che la crudeltà delle persone fa scaturire in loro. Il film, nella sua semplicità, mette a nudo una realtà che viene fin troppo ignorata, nella maniera più schietta e diretta possibile. Giulio, con Ombre, vince il Premio Nazionale d’arte contemporanea Teogonia Tracce di Futuro.

Frame di Ombre (2022)

Prima di salutarvi vi lascio con un ultimo film, quello realizzato con il budget più elevato. Lische, del 2022, è forse uno dei lavori più completi del giovane autore. Ambientato in veneto, presenta uno spaccato della vita annoiata di giovani benestanti che si dilettano in riflessioni non richieste, sorseggiando vino e prendendosi in giro tra di loro. Il corto può esser diviso in due parti: nella prima assistiamo ad una cena e alle chiacchiere dei protagonisti e notiamo che la luce, ancora una volta, gioca un ruolo decisivo nel creare un audace contrasto di colori; la seconda parte prende vita nel salotto di uno dei ragazzi, dove si sono radunati per ballare e scambiarsi i regali di Natale. Le due parti sono intervallate da qualche secondo di silenzio, in cui il regista ci conduce in quello che sembra essere il percorso verso casa, inquadrando strade notturne illuminate solo dai lampioni. Una volta entrati bruscamente in casa, notiamo che la luce è cambiata. Ora sono neon rossi e verdi (forse natalizi?) a fare da padroni, creando un effetto, ancora una volta, disturbante, grazie anche all’aiuto della musica. Il film, pulito e ben riuscito, gli vale il Premio Nazionale Luciano Vincenzoni Miglior Soggetto Cinematografico.

Frame tratto da Lische (2022)